Ci sono dei segni che ciascuno di noi si porta appresso fin da quando comicia il suo viaggio su questa Terra.

A volte questi stanno nel nome che viene scelto per noi e nei nomi che si incontrano crescendo.
Altre volte ancora essi stanno nei luoghi che attraversiamo o che abitiamo.
Per altri, invece, parlano i numeri.
Il buon Bertino – perché questo era, una persona buona – è rientrato a pieno titolo in quest’ultima categoria di predestinati.
Nasce il 25 aprile 1933, quando ancora il 25 aprile non era ciò che sarebbe diventato, e muore il 2 giugno 2021.
Per noi, che abbiamo un figlio nato il Primo maggio, questo intreccio di date non può non avere un significato forte.
Ripensare a Bertino, per noi che ne abbiamo raccolto la storia tra le pagine di un piccolo libro – L’erba dei conigli – è come pensare a due Natali laici, nel segno della Liberazione e della Repubblica, seguendo un percorso di maturazione che non è solo singolare, ma anche popolare, nel senso più profondo del termine.
Ripensare a Bertino significa, però, anche ripensare alle opportunità gettate al vento, ai sogni non realizzati e alle promesse tradite che queste date richiamano.
Bertino, a soli dieci anni, seppe fare la sua scelta. Seppe prendersi una parte. Seppe prendersi la parte giusta. Per fame o per convinzione poco importa.
Oggi noi parliamo di lui a giovani che come scelta più difficile della loro vita hanno affrontato, in qualche caso, quella dell’acquisto di un paio di scarpe.
Ma, tutto sommato, anche noi abbiamo avuto la vita facile.
Come spesso succede, la storia ora comincia a chiederci il conto di tanta ignavia. Ci chiede se avremo la stessa forza di Bertino nel difendere i diritti conquistati con la vita dai nostri nonni. Ci interpella sul fatto che si riesca a ragionare come comunità e non solo come somma di singoli. Ci mette di fronte al fatto che il marcio che sembrava appartenere al passato, in fondo, non ci fa poi così schifo e che 1 su 5 – oggi, in Italia – sarebbe anche disposto a riassaggiarlo.
Avremmmo dovuto e voluto salutare Bertino il 5 di giugno, ma non ce l’abbiamo fatta. Ci è stato detto che negli ultimi giorni sembrava vuoto.
Vogliamo pensare che tutto quello che aveva da vivere lui sia riuscito a spenderlo e a raccontarlo. Perché di là – ovunque sia ora – non si porta nulla.
Facciamo nostro questo atteggiamento. Viviamo in modo che ci si possa consumare per ideali grandi, pensando che lo si possa fare a qualunque età e nonostante tutti i cattivi maestri che continuano a incrociare le nostre giornate. Perché se non perdiamo la memoria delle persone come Bertino, se resistiamo senza piegarci e adattarci ogni volta e se lo facciamo insieme, allora c’è un domani ad aspettarci, e un altro ancora.
Alberto Mereghetti, detto Bertino, nasce a Busto Arsizio il 25 aprile 1933 e muore a Erto il 2 giugno 2021.
All’età di soli 10 anni, con il padre catturato dagli Alleati e detenuto in un campo di prigionia nel sud della penisola, viene coinvolto in alcune azioni da un gruppo di partigiani che operava nel quartiere di Sacconago di Busto Arsizio: consegna messaggi e cibo, trasporta e nasconde nel suo terreno pezzi di armi, affigge manifesti di propaganda.
Al termine del conflitto gli viene negato il riconoscimento dovuto per aver contribuito alla lotta partigiana.
Gli studi e l’amore per la scuola gli permisero di arrivare a ricoprire, a soli 39 anni, un posto di dirigente in una grande industria meccanica della sua città, permettendogli di girare l’Europa per vendere i macchinari prodotti.
Appassionato divulgatore scientifico, ha cominciato poi a raccontare nelle scuole del suo quartiere la sua vicenda di bambino in tempo di guerra, fino al momento in cui la sua storia è stata raccolta in un libro, L’erba dei conigli.

Massimo ASPESANI
Milly PAPARELLA