di Carlo RIDOLFI

Questo viaggio parte da lontano. L’estate scorsa – dal 22 al 27 agosto – la Pro Civitate Christiana alla Cittadella di Assisi aveva organizzato l’80° Corso di Studi Cristiani, con il titolo Altro Da Te – PasolinAssisi, dedicando la settimana di approfondimenti al centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Il corso ebbe una introduzione particolare, con un concerto, la sera di lunedì 21 agosto, dell’Anonima Frottolisti, eccezionale ensemble di esecutori di musica medievale, che, tra i loro lavori, comprendono anche la colonna sonora del film Chiara, di Susanna Nicchiarelli. Essendo massimamente impreparato sulla figura di santa Chiara, qualche settimana più tardi, trovandomi alla Libreria del Santo a Padova, decisi di cercare qualche testo che mi introducesse alla sua storia. Mi imbattei così nel libro di suor Chiara Amata Tognali Chiara d’Assisi Come si diventa cristiani? pubblicato dalle Edizioni del Messaggero di Padova. Letto il libro, piccolo nella forma e nel numero di pagine, ma denso di passaggi interessanti, chiesi all’Ufficio Stampa del Messaggero di aiutarmi a trovare un contatto con suor Chiara Amata. Grazie alla loro efficienza e cortesia, qualche giorno dopo il contatto fu possibile ed eccomi quindi “imbarcato” (il verbo non è usato del tutto a caso) verso il Monastero di Santa Chiara a Lovere, in provincia di Bergamo, sulle sponde del lago d’Iseo. Accolto con grande gentilezza e amicizia dalla madre suor Emanuela Roberta e dalle sorelle del Monastero, ho potuto porre qualche domanda a suor Chiara Amata.

Buongiorno, suor Chiara Amata. Vorrei iniziare la nostra chiacchierata proprio dalle parole di Chiara d’Assisi in una lettera ad Agnese di Boemia. Scrive santa Chiara: “Con corsa spedita, passo leggero, piede sicuro, in modo che i tuoi passi non sollevino polvere, avanza sicura, sul sentiero di una pensosa felicità“. Sono parole bellissime che mi portano a chiederle: quale rapporto ci può essere tra la velocità delle necessità quotidiane nella quale tutti siamo coinvolti e la necessaria lentezza della riflessione e della preghiera?
Questo è un problema che abbiamo anche noi, nel senso che anche la nostra vita è presa da ritmi piuttosto densi. Il monastero è un laboratorio in continua attività: ci sono servizi da garantire. La cucina, ad esempio. La settimana scorsa io ero di turno in cucina e una giornata del genere inizia alle 5:40 e si è poi impegnate fino a sera. Noi però abbiamo la garanzia di alcuni orari che, per quanto ci sia un minimo di elasticità, non si toccano, e nei quali la preghiera dà una strutturazione alla giornata, che è data dalla Liturgia delle Ore. La Liturgia delle Ore è la preghiera della tradizione ecclesiale, strutturata per cogliere la santità del tempo salvato da Cristo, che assegna ad ogni momento della giornata momenti in cui celebrare la salvezza di Gesù ed è tutta sostanzialmente composta dalla Parola di Dio: Salmi e altri passi della Scrittura. Si comincia la mattina con l’Ufficio delle Letture alle sei meno venti, alle sette le Lodi, sette e mezza la Messa, poi l’ora Terza, il lavoro, a mezzogiorno l’ora Sesta, alle 15:30 l’ora Nona, alle diciotto i Vespri e la sera, verso le nove, l’ora di Compieta. Questa è la struttura della nostra giornata, che garantisce dei tempi di distacco dal lavoro. Questa è una cosa molto buona, che aiuta, anche se non è così scontato che si viva così facilmente e bene, perché avere una struttura così fissa, costringe ad organizzare tutto il tuo lavoro in modo da essere pronta in tutti i sensi, sia nelle attività materiali come la cucina, sia mentalmente, quando si sta pregando. A questo si aggiunge che abbiamo un’ora di meditazione la mattina e un’ora di meditazione la sera e altri momenti che però sono più elastici a seconda di come va la giornata. Questo fatto di porsi degli stacchi, dei momenti fissi è, secondo me, una delle cose più sagge che ci offre la nostra forma di vita. Per chi vive in altri modi, ovviamente non è proponibile in questi termini, però il porre qualcosa di fisso secondo me è fondamentale. Non serve tanto: cinque minuti. Cinque minuti, all’ora che vedo buona, che va bene per me, dedicati a leggere il Vangelo, o a leggere una preghiera che mi piace, o anche solo a fare un po’ di silenzio, vale di più che pregare tre ore una volta ogni tanto. Questa interruzione credo sia fondamentale, per rendere il ritmo della nostra vita più umano e anche per renderla capace di incontrare il Signore.

Torniamo indietro di moltissimo tempo. Nel 1206 (o 1208, le fonti storiche non sono sicurissime) Giovanni di Bernardone, chiamato Francesco, figlio del mercante Pietro, rinuncia pubblicamente ai beni paterni davanti al vescovo di Assisi Guido I. La Domenica delle Palme del 1211 (o 1212) la nobile Chiara passa attraverso una porta stretta dopo aver deciso di fuggire dalla casa paterna e di lasciare tutte le sue ricchezze, per seguire le orme di Francesco. Il titolo di un suo bellissimo libro, che ricorre splendidamente alla figura retorica dell’ossimoro, è Quella prudente follia d’amore. Esiste dunque un abbandono delle origini, forse persino un tradimento (ma generativo e fecondo) attraverso il quale ci si ritrova?
Io credo che nella nostra vita ci siano dei passaggi in cui ci viene chiesta una discontinuità. Un travaglio, un passaggio nel quale si “rinnega” qualcosa delle proprie origini. Secondo me però questo è fecondo se mantiene anche una continuità. C’è una fase in cui una persona vede di più la discontinuità, per esempio, nel nostro caso, quando si entra in monastero, ma ce ne possono essere degli altri. C’è la fase in cui viviamo più drammaticamente, faticosamente la discontinuità, però questa non ci deve far dimenticare che c’è sempre una continuità, perché quel che noi facciamo, anche un salto coraggioso, è sempre in qualche modo appoggiato su quello che si è vissuto prima. Questa discontinuità è molto feconda per quanto hanno sperimentato Chiara e Francesco e per quanto sperimentiamo anche noi se appoggiata a Gesù Cristo, alla sua proposta, al Vangelo. Anche il Vangelo è una rottura di grande discontinuità, ma nello stesso tempo sia con l’umano che con l’ebraismo, col mondo in cui ha vissuto Gesù.

A pag. 44 del suo piccolo ma profondo volume edito dal Messaggero di Padova lei scrive: “Non avere alcun potere né nella società, né nella Chiesa. Questo rende le clarisse molto vicine alla gente, che pure percepisce fortemente questo essere senza potere”. Eppure nella storia degli esseri umani, forse oggi ancor più di ieri, tutto (per il senso comune; per l’economia; per la politica; spesso anche per le relazioni interpersonali) sembra tendere verso la ricerca del potere. Com’è quindi possibile essere “percepite” come “vicine” essendo “senza potere”?
Come sia possibile non lo so: io lo constato! Constato anzi che più passa il tempo più ho l’impressione che la gente si senta solidale con noi, che noi – non per merito nostro, ma forse per come è la società – siamo percepite come il lato buono del mondo e della Chiesa, anche. Non è un merito nostro, non è che noi lo siamo, noi siamo povere persone, povere donne come tutti, però la percezione di noi è questa. Poi che effettivamente siamo senza potere è anche vero: noi siamo qui, ma nessuna di noi ha nulla, nessuna di noi conta qualcosa per se stessa, se abbiamo un significato è perché siamo insieme e cerchiamo di costruire qualcosa insieme. In quello che facciamo dipendiamo esclusivamente dalla benevolenza della gente, perché dal punto di vista economico non riusciamo a mantenerci con il nostro lavoro. Ci poniamo semplicemente per quello che siamo: cerchiamo di vivere il Vangelo, insieme, e questo è tutto. Siamo questo, non abbiamo nessun incarico, nessuna struttura oltre il posto in cui abitiamo. Neanche nessuna particolare abilità per cui brilliamo. Siamo, semplicemente. Mi sembra di percepire che in genere la gente ci vuole bene per quello. Ascoltiamo molto le persone, questo sì.

A pag. 64 leggo: “(Noi) che sappiamo di fluttuare in un universo senza centro e dalla storia difficilmente tracciabile“, diversamente da come si sentivano gli uomini e le donne del Medio Evo, che avevano fiducia in un ordine delle cose, nell’affidabilità del mondo, considerandosi come il centro del mondo. Nel corso dei secoli questo sentire è stato messo in discussione dalla scienza (Darwin), dall’analisi sociale e politica (Marx), dalla psicoanalisi (Freud), dalla fisica (Einstein e Heisenberg), fino a smantellarlo e alla definitiva acquisizione collettiva che non c’è alcun ordine e che non c’è alcun centro che comprenda gli esseri umani. Non ci resta che un vuoto di disperazione o c’è un’altra possibilità?
Devo dire che, sebbene abbia un grande fascino la visione medievale, io sono totalmente da quest’altra parte. Io non conosco mondo più ordinato, più chiaro, di quanto non sia quello di adesso. Ho sempre visto il mondo così: non si sa bene dove va, è pieno di promesse che non si sa bene cosa siano e si fluttua in questo universo e questo mondo è il mio, io mi ci trovo bene. Non ho minimamente un rimpianto di quell’altro, per quanto abbia un grandissimo fascino. Con questo: non ho una soluzione. Vedo che in questo mondo facciamo una grandissima fatica ad annunciare Cristo. Io l’ho incontrato. Chiara e Francesco l’hanno incontrato nel loro mondo, a loro modo, ma è lo stesso Cristo che ho incontrato io e che è fondamentale nella mia vita e io lo ritrovo tranquillamente anche in questo mondo che è così scentrato, confuso, che non si sa dove va. Però vedo che non sono in grado, e non sono in grado intorno a me – qualcuno forse sì, ma in genere sento che c’è molto disagio – nel rendere il Vangelo e Gesù Cristo significativi e fondanti la vita per noi oggi. Questa è una difficoltà che vedo anch’io e alla quale non so dare una soluzione. Però non mi sento minimamente smarrita in questo mondo: è l’entusiasmante mondo in cui io vivo e nel quale costruisco, cerco di pensare una prospettiva, che al momento non ho e non trovo. Ci sono naturalmente delle situazioni che rendono la cosa un po’ difficile, essendo che il Cristianesimo effettivamente si trova a disagio in questo mondo. Tra gli effetti noi vediamo la carenza di vocazioni, di cui soffriamo moltissimo anche noi. Anche la difficoltà – e qua c’è una differenza enorme rispetto al Medio Evo – di fare una promessa. In questo è sconcertante la differenza, perché per Chiara e Francesco fare una promessa che fosse incancellabile ed indelebile era una manifestazione di libertà. Era una cosa bellissima, essere fedeli era la cosa più importante. Invece il non abbandonare ciò che si è promesso – la fellonia nel Medio Evo era il peccato più grave – adesso per noi è lontano. Restiamo affascinati da questo mondo antico, ma non è il nostro, non riusciamo più ad agganciare con questi che magari percepiamo come valori affascinanti, ma non sappiamo più come fare nostri. E su questo, al momento, non ho risposta.

Chiara e Francesco: il loro rapporto con la natura, con la Creazione. Abbiamo imparato, a nostre spese, che considerare la natura altro da noi, da usare e da sfruttare, porta conseguenze catastrofiche, forse irreversibili. Ne ha parlato papa Bergoglio in quella bellissima lettera al mondo che è la Laudato sì. Cosa ci possono dire, al proposito, Francesco e Chiara?
Per quanto riguarda Chiara potrei citare solo un punto in cui emerge questa dimensione della natura, quando lei raccomanda alle sorelle in servizio fuori dal monastero di “laudare il Signore alla vista degli uomini e degli alberi fronzuti”. Francesco, invece, ha molti spunti. E’ evidente che il problema ecologico non esisteva. Possiamo dire che per Francesco tutto manifestava il Creatore e in ogni cosa lui vedeva quello: le creature erano per lui fratelli e sorelle, in quanto espressione di una Creazione comune a tutti noi. Naturalmente questo discorso è validissimo anche adesso, ma non ha più questa pregnanza perché non tutti pensano a Dio come Creatore o non pensano affatto a Dio. Per cui anche fondare il discorso che noi siamo fratelli e sorelle della Creazione è difficile, può risultare romantico, ma come un discorso difficilmente fondato. E questo è un problema.

Grazie, di cuore, suor Chiara Amata. “Siamo”. “Ascoltiamo”. “L’entusiasmante mondo in cui vivo”. Fosse solo per questo – ma c’è stato anche molto altro – valeva la pena di “imbarcarsi” per Lovere.
E grazie, davvero, a tutte le sorelle del monastero di Lovere, anche per aver avuto la curiosità e la pazienza di invitarmi ad un dialogo con loro dopo la (buonissima) cena consumata in parlatorio, nella quale ho provato a raccontare di me, di Mario Lodi, della Rete di Cooperazione Educativa.

Il “viaggio a Lovere” è disponibile anche in Podcast: https://www.spreaker.com/episode/51910085
Per altre notizie e informazioni sul Monastero di Santa Chiara di Lovere: https://federazioneclarisse.com/vieni-a-trovarci/monastero-di-lovere/
Suor Chiara Amata Tognali ha pubblicato i libri:
Quella prudente follia d’amore. Edizioni Biblioteca Francescana. Milano, 2004
Lasciateci la libertà! Caritas Pirckheimer e la vita religiosa nella bufera della Riforma. Edizioni Messaggero. Padova, 2013
Chiara d’Assisi. Come si diventa cristiani? Edizioni Messaggero. Padova, 2021