Convenire ricreando

Qualche riflessione e anche qualche proposta

OBBLIGO E VERITA’

Convenire ricreando

Premessa

Queste riflessioni, che propongo alla lettura e alla discussione, stanno a margine del convegno “Per un diritto alla città pedagogico”, organizzato da Cultura in movimento a Corneliano d’Alba (CN) nei giorni 8-10 aprile 2022 e delle successive discussioni in comunità di pensiero e di azione come Convergence(s) pour l’education nouvelle e Scuola Sconfinata.

Sono appunti e tracce di riflessione e di lavoro che propongo alla discussione.

Intro

(Un gruppo di pellegrini, guidati dal monaco Zenone, 

diretti in Terra Santa per una crociata. Arrivano in prossimità di una pericolante passerella sospesa su un orrido, davanti alla quale si arrestano).

Teofilatto: E ora: un altro cavalcone?

Zenone: Ringraziamo lo Sommo che ci rende la via della salvazione irta di ostacoli! Transitare in fila longobarda! Seguitatemi! 

(Avanza sulla passerella, ma nessuno lo segue).

E che, dunque? Con che animo pugnerete nelle Terre Sante se non ne tenete nemmanco per trapassare un cavalcone? Che temete? Siamo mondi, ormai! Non havvi periglio da che l’eretico fu mondato!

Pellegrino: Ma allora che passi prima lui, ja!

Zenone: Vili! Vili, vili! Cantate e passate! Io vi darò l’exempio! Esso è forte, saldo! Guardate! (Comincia a saltare sulla passerella) Deus vult! Dio lo vuole! Guardate! Ecco la prova! (La passerella si frantuma e Zenone precipita nell’orrido).

Brancaleone: Ove vai, buon padre?

Pellegrini(Pregano). E adesso?

Pellegrino: Tornemo indrio!

Teofilatto: No! Mondi semo, lo monaco lo disse! Isso è sparuto: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto!

Giovane pellegrino: Che vi siete scordato lo voto? In Terra Santa dovemo ire! Dio lo vuole!

Brancaleone: Pace, pace! Isso tiene ragione. Semo sciolti da lo voto. E se da ogni fatto dovemo trarre la sua significazione, issa è questa: Dio non lo vole, Deus non vult! Est claro.

Teofilatto: Non lo vole, non lo vole!

Brancaleone: Ergo: riprendemo la marcia, avante verso Auroc…

Teofilatto(Interrompendolo) Sssh! Non lo nomare lo loco o li avemo ai calcagni.

Brancaleone: Bene, ommeni. Sciolti, eh? Sciolti! Vai, Aquilante! La bona pace a tutti! Ognun per sé! 

Pellegrini(Rimasti indietro, interdetti) Ehi, voi! Andò ite?

Brancaleone: Eh, così, sanza meta!

Pellegrini: Venimo?

Brancaleone: No, no! ITE ANCO VOI SANZA META, MA DA UN’ALTRA PARTE![1]

(da: L’ARMATA BRANCALEONE, Italia, 1966 regìa di Mario Monicelli)

I

Mi capita spesso, da qualche tempo a questa parte, di ritornare con la mente a questa scena di un capolavoro del cinema italiano, attribuendole (in modo arbitrario, com’è ovvio) il senso di una allegoria dello stato di salute (o di mancanza di salute) dell’azione educativa che tutte e tutti cerchiamo quotidianamente di svolgere, nei nostri ambiti professionali e sociali.

Anche noi, mi chiedo, abbiamo seguito in questi anni qualche improbabile santone (o ‘moda’ pedagogica o sirena anglofila) che ci prometteva di condurci verso una terrasanta della liberazione completa? Lo abbiamo fatto con quella carenza di preparazione, di mezzi, di risorse e di intenzione costruttiva che caratterizza la compagnia creata da Monicelli e Age e Scarpelli, con tanta efficacia da aver reso idiomatica l’espressione armata Brancaleone? Siamo stati così sprovveduti e improvvidi da scioglierci come neve al sole di fronte alla difficoltà, dividendoci in minuscoli gruppetti autorassicuranti, sicuri in modo incrollabile solo nell’ andar tutti sanza meta, ma in direzioni diverse?

II

Nel frattempo, dato che il movimento reale delle cose non si arresta ad attender i disorientati, accadono fatti come quelli qui sotto ricordati, solo per fare due esempi particolari, che tuttavia credo significativi:

* la Commissione finanze del Senato vota a maggioranza una risoluzione, da proporre in aula, grazie alla quale verrebbe tolta l’IVA in caso di commercio di armi, che diventerebbero così, di fatto, ‘beni di prima necessità’.

* con 189 voti favorevoli, nessun contrario e un solo astenuto, il Senato ha approvato martedì 5 aprile, in via definitiva, il disegno di legge n. 1371, che istituisce la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”, già approvata dalla Camera dei Deputati. L’Assemblea di Palazzo Madama ha confermato anche la scelta della data proposta, ovvero il 26 gennaio, che coincide con l’anniversario della battaglia di Nikolajewka, il “drammatico ed eroico episodio del 1943 assurto a simbolo del valore e dello spirito di sacrificio delle penne nere”.[2]

Così, mentre potremo vendere e acquistare armi esenteIVA, accadrà che nelle città e nelle scuole italiane si celebrerà il 26 gennaio una battaglia condotta da un esercito aggressore che combatteva al fianco di quello nazista (mi permetto di consigliare di riprendere in mano qualche libro di Nuto Revelli o di Mario Rigoni Stern) e il giorno dopo si ricorderà la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte delle truppe di quello stesso esercito russo che due anni prima era stato aggredito. 

Mentre noi imo spajati sanza meta nei luoghi della decisione politica si orienta il prossimo futuro e si ridefinisce il racconto storico del passato remoto.

III

Quali sono, allora, le nostre reali e concrete possibilità di azione?

Cerco di indicarne qualcuna, ovviamente senza la pretesa che quelle da me indicate siano le uniche possibili, ma con l’intento di provare a indicare almeno qualche direzione possibile.

Prima di tutto credo che sia essenziale prendere atto che la richiesta principale che ci proviene in questo tempo dai ragazzi e dalle ragazze è, a me pare, quella di avere in consegna il loro presente. Troppe volte, ci stanno dicendo, ci avete raccontato che noi siamo il futuro. Ma il futuro ce l’avete quasi per intero precluso (pensiamo alla situazione ambientale e climatica o alle prospettive di istruzione e di lavoro, per esempio), quindi rivendichiamo di poter dire la nostra qui-e-ora.

Dunque, io credo, ci sono almeno tre passaggi necessari:

  1. Attivare la presa di parola da parte dei ragazzi e delle ragazze, predisponendosi, allo stesso tempo, ad una vera ed efficace condizione di ascolto.
  2. Agire affinché il governo della cosa pubblica, in ambito sociale e culturale, sia orientato a rendere disponibili spazi e mezzi di espressione. Non confondendo direzione politica con organizzazione culturale: come troppo spesso è stato fatto, per indicare un plausibile punto di inizio di quella che a me pare una deriva che ha stravolto i compiti amministrativi, a partire dalle iniziative di un assessore alla cultura come Renato Nicolini – al quale almeno va riconosciuta l’originalità delle idee – che hanno dato la stura ad una concezione degli assessorati come organizzatori di eventi.
  3. Assegnare responsabilità e autonomia ai ragazzi e alle ragazze. 

Su questo piano io credo sia già possibile articolare alcune concrete proposte di intervento, principalmente in due direzioni:

  •  Intervenire sui linguaggi e sui contenuti. Penso, ad esempio, al grande lavoro che è in corso ormai da tempo per la ridefinizione del linguaggio da parte di gruppi come Indici Paritari – Più donne nei testi scolastici e un nuovo linguaggio, che cercano di portare nel dibattito generale e in particolare in quello scolastico una sensibilità fondamentale sulle questioni di genere.

(Vorrei anche aggiungere che anche fra noi mi pare necessaria una riflessione sulle terminologie: con tutta la sincera amicizia possibile vorrei dire che potrebbe essere interessante sostituire l’abusatissima parola cantiere con la più realistica costruzione, l’altrettanto logoro termine laboratorio con officina e, orientandoci quanto più possibile ad espungere qualsiasi connotazione bellica al nostro dire, militanza con attivismo).

  •  Intervenire sui processi. A me pare che ci siano almeno due ambiti di iniziativa e di mobilitazione che potrebbero aggregare interesse e azione:
    • La questione della cittadinanza, che ancora tiene fuori dal diritto di essere a pieno titolo italiani quasi un milione di donne e uomini, moltissimi dei quali nati qui.
    • La questione della presa di parola dei ragazzi e delle ragazze, che sia non solo (anche se è un primo passo ineludibile) ascolto reale delle loro proposte, dei loro bisogni, dei loro desideri, ma anche possibilità reale di decisione e di intervento per la trasformazione dello stato di cose esistente. In questo senso credo sia compito di una elaborazione politica ampia e condivisa (con partiti, sindacati, associazioni professionali, gruppi di rappresentanza di studenti e di genitori etc.) formulare una proposta di revisione degli Organi Collegiali previsti dai Decreti Delegati (DPR 416 31.05.1974), nella direzione di una concreta, verificabile e progressiva facoltà di decisione delle donne e degli uomini che fanno parte del processo educativo e scolastico (insegnanti, genitori, studenti e studentesse, personale di collaborazione).
    • La questione della cura e della difesa, riprendendo la proposta di creazione di Corpi Civili di Pace formulata quasi trent’anni fa da Alexander Langer[3] e costruendo (almeno) una proposta di Servizio Civile Europeo, che abbia, come minimo, queste caratteristiche:
  • Obbligo di svolgimento per ragazzi e ragazze al compimento della maggiore età (fatti salvi i rinvii per ragioni di studio o di salute)

(Ho riscontrato spesso, anche negli ultimi mesi, una sorta di diffidenza, quando non addirittura una decisa repulsione, che in ambito educativo e politico scatta quando entra in uso la parola obbligo, quasi fosse automatico riferimento ad una limitazione di libertà.

Vorrei qui riaffermare, invece, che obbligo e verità, parafrasando un gioco che forse ancora i bambini e le bambine fanno, non sono necessariamente termini antitetici e in opposizione fra loro. Non sono inconciliabili. Non dobbiamo averne paura). 

  • Se è vero, come io credo, che ogni azione è educativa e ogni azione educativa ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, considerare un periodo di impegno interessato e obbligatorio non riconduce per forza ad una costrizione da subire passivamente, ma ad una opportunità di protagonismo e di crescita.
  • Durata di un anno, riconosciuto ai fini previdenziali.
  • In luogo né troppo né troppo poco prossimo a quello di residenza (con scelta facoltativa di ulteriore allontanamento).
  • Non organizzato dal Ministero della Difesa né dalla Protezione Civile, ma da un organismo terzo, preferibilmente non governativo e sovranazionale.

IV

Lavorare per una costruzione, attraverso spazi e momenti di officina, per un attivismo sociale e culturale che generi legame sociale e benessere, significa, prima di tutto, partire dalle fondamenta.

E’ necessario pensare ad una (molteplice) realtà organizzata, che, come tutte le realtà organizzate, ha degli obiettivi (cioè dei risultati attesi) e mette in campo delle azioni pratiche per orientarsi al loro raggiungimento.

Abbiamo cioè bisogno di pensare ad una azione strutturale (penso, ad esempio – non inventando nulla, ma richiamandomi sia ai Cos di Aldo Capitini che ai Circoli di cultura di Paulo Freire – alla costruzione di Circoli di Cultura Sociale che intraprendano azioni di studio e di formazione su elementi di base di storia, filosofia, economia, sociologia etc., ma anche di storia dell’arte, della musica, del teatro, del cinema, della letteratura, della poesia…).

V

Esistono in Italia innumerevoli realtà – organizzate o ancora in fase di germinazione spontanea, di antico radicamento storico o appena affacciatesi – che riflettono, progettano e agiscono orientandosi a mettere in discussione la forma scolastica canonica e a proporre alternative in direzione dell’educazione attiva che coinvolga tutti i soggetti inseriti nel processo educativo.

Tuttavia, sia per una resistenza atavica delle istituzioni e della più generale cultura sociale in materia educativa, sia per le non poche incomprensioni e divisioni che sempre punteggiano come chiodi sul terreno il cammino di trasformazione, queste sensibilità e queste pratiche non sono ancora riuscite a definirsi come campo culturalmente egemone.

Invitando tutte e tutti noi a cercare in priorità d’intenti ciò che ci unisce, mettendo in secondo piano (magari per accorgerci che non è così decisivo) ciò che ci divide, è forse giunto il momento di chiamarci al confronto, alla discussione e alla proposta per una Convenzione di Ri-creazione che, a partire dal prossimo settembre, definisca una proposta in pochi ma condivisi punti per rispondere insieme alla domanda A cosa serviranno l’educazione e la scuola?

Pensiamoci, insieme, per insieme ire verso una qualche meta insieme avvistata.

Carlo Ridolfi

Coordinatore nazionale

Associazione culturale

RETE di Cooperazione Educativa – C’è speranza se accade @


[1] https://www.youtube.com/watch?v=FPMR503pRYk&t=73s

[2] https://ilmanifesto.it/la-giornata-per-nikolajewska-revisionismo-e-memoria

[3] https://www.alexanderlanger.org/it/65/2778

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