Di merli, allocchi ed altri volatili.

Noi restiamo testardamente convinti che la regola dell’azione educativa degli insegnanti sia quella della passione, della competenza, dell’aggiornamento e dell’attenzione continua agli studenti e alle studentesse.

Ma, qualche volta, non è male far rilevare anche qualche eccezione.

Ogni tanto ci raccontano di insegnanti che chiedono ai ragazzi e alle ragazze di rispondere alle interrogazioni a distanza tenendo visibili le mani e chiudendo gli occhi. O, peggio ancora, imponendo loro di bendarsi. (E in questo caso, davvero, il passo tra la benda e la fucilazione, intesa almeno come voto, sembra esser davvero breve).

O – come riportato in un articolo di Valentina Santarpia sul Corriere della sera del 26 marzo – insegnanti come una professoressa di matematica del liceo Gioia di Piacenza, che racconta (pure vantandosene): “Dopo averne parlato coi genitori, faccio installare agli studenti una webcam esterna che riprende la postazione. Appena inizia la verifica faccio partire la registrazione e se qualcosa non mi torna, la riguardo. Così ho scoperto un ragazzo che si era allontanato un attimo. L’ho invitato a spiegare il compito, visto che l’aveva fatto così bene, e ha confessato”. (‘Benda’; ‘confessione’, ma quale concezione inquisitoria e punitiva sta alla base del lavoro di questi insegnanti?).

Il professor Raffaele Mantegazza, docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca, coordinando con grande generosità il primo incontro del gruppo di mutuo appoggio per genitori di adolescenti che abbiamo riunito in Zoom il 24 marzo scorso, sottolineava che non sono tollerabili neppure dal buon senso, oltre che da riflessioni pedagogiche adeguate, simili irruzioni in quello spazio – anche per noi alla loro età, se siamo onesti, era così – quasi sacro che è la camera di un o di una adolescente.

Forse insegnanti di questo tipo hanno in mente di aver davanti schiere di allocchi. Rapaci, peraltro, di grande bellezza e intelligenza che, a causa dei loro grandi occhi, sono entrati nel linguaggio comune col senso figurato di “sciocco, tonto, facile da raggirare”.

Come diceva il professor Mantegazza, se la scuola iniziasse ad occuparsi di quel che i ragazzi e le ragazze sanno (che non sempre e non necessariamente è appreso in aula) e si interessasse di meno alla ricerca a volte ossessiva di quel che non sanno, forse la vita sarebbe migliore per tutti.

Soprattutto nell’adolescenza, i ragazzi e le ragazze possono soffrire anche con effetti molto gravi in situazioni come quelle che abbiamo descritto.

Ne parla, in quella che è secondo noi una accorata e geniale improvvisazione d’attore, Antonio Panella, uomo di teatro che vive e lavora in Liguria, che ha inviato un’audiolettera destinata ad una ragazza, che potrebbe valere per molti dei nostri figli e delle nostre figlie.

Poi, per tornare alla regola nella quale perseveriamo a credere, un’altra insegnante, Marianna Barbanera, di Cannara, invia le foto, fatte da lei e dalla figlia Chiara, del nido di merli scoperto in un albero vicino casa e dei merli stessi dentro il nido.

Anche “merlo” sarebbe sinonimo di ‘persona facile da abbindolare’, ma nessuno dei ragazzi e delle ragazze è merlo o allocco in questo senso.

Piuttosto vorrebbero forse spiccare il volo, a patto di non incontrare adulti che tarpino loro le ali. E sarebbe davvero bello se, come insegnava Paul Valéry, li aiutassimo ad essere leggeri come l’uccello, che sa dirigere il suo volo, e non come la piuma, che può solo essere in balìa dei venti.

(Cannara, per inciso, è quel bellissimo borgo dell’Umbria nella quale san Francesco predicò agli uccelli. Il santo di Assisi era un gigante e sapeva bene come parlare al mondo. Molto più modestamente, senza aspirare a tanta grandezza, forse dovremmo riflettere sull’immagine di quel nido e valutare se il nostro compito di educatori sia quello di abbatterlo con la pigrizia delle nostre certezze o, invece, di costruirlo, accogliere i suoi ospiti e far in modo che lo possano lasciare con la sacrosanta autonomia che spetta alla dignità di ogni essere umano).

Carlo Ridolfi

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